Diario di Viaggio: Peru’e Messico di Federica e Cristian

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Il viaggio di Federica e Cristian nasce dalla loro espressa volontà di visitare il Peru’ e dalla grande passione per la natura. Il loro itinerario è descritto attraverso il Diario di Viaggio di Federica, che proprio come una viaggiatrice d’altri tempi ha documentato man mano cosa accadeva attraverso le parole ma soprattutto con le meravigliose foto.

Il racconto inizia così…Dai Lepini alle Ande, dopo aver sorvolato il Rio delle Amazzoni…Inizia la nostra avventura!

9 giugno 2017

Lima è stupenda, colorata, vivace. A quartieri più poveri si alternano quartieri ricchi con antiche e meravigliose costruzioni coloniali. Il traffico è pazzesco, e la guida è spericolata e aggressiva, abbiamo temuto per la nostra incolumità ????. Visitare il museo Larco è un esperienza entusiasmante, ci sono reperti unici che testimoniano il susseguirsi di antiche civiltà, oltre ai famosissimi Incas, che meritano di essere conosciute e studiate. I reperti hanno una forza evocativa incredibile, rimani a guardarli a lungo, incantata. La cucina di Lima (lo abbiamo scoperto leggendo le guide) è famosa in tutto il mondo. Abbiamo assaggiato il ceviche (piatto di pesce marinato con lime, peperoncino, peperone, cipolla), che ti dà in bocca una piacevole sensazione di freschezza, e la cioccolata peruviana…Altro che Lindt, tutta un’altra storia. Buonissima anche la bevanda ricavata dalle bucce della fava di cacao. In città, sui cornicioni, è più facile vedere gli avvoltoi che i piccioni. Gli avvoltoi, necrofagi, tengono pulita la città e limitano il proliferare dei piccioni mangiando le uova dei loro nidi. Altre immagini che mi sono rimaste in mente: la cattedrale, i crocifissi di legno bianco, le Madonne, che nella loro iconografia nascondono riferimenti alla Pachamama (la Madre Terra, venerata dalle antiche civiltà), i lustrascarpe per le strade, le bouganville di colori che non avevo mai visto, i volti delle persone, così espressivi e diversi, un gruppo di scolaretti con la divisa, le case più povere, senza intonaco, con le sbarre alle finestre e i panni stesi ovunque, un antico sito archeologico che sta venendo alla luce proprio al centro della città, l’oceano Pacifico.

10 giugno2017

Abbiamo preso un aereo per Arequipa (il terzo aereo in due giorni ????) e abbiamo salutato Lima dall’alto. Il volo è stato breve (1 ora e qualcosa, dopo le 12 ore del volo Madrid-Lima ci è sembrato uno scherzo) ma piacevolissimo, poiché il cielo senza nuvole ci ha permesso ancora una volta di ammirare le Ande in tutto il loro splendore. Siamo arrivati in serata, e una luna quasi piena ci ha accolto sorgendo piano piano da dietro le montagne.

Ora siamo ad Arequipa, 2350 m sul livello del mare; se sarò ancora sballata dal fuso orario come ora (qui sono le 06:20 e io sono già sveglia da un po’) e da tutta questa bellezza riprenderò il racconto da dove l’ho interrotto.

Arequipa è circondata da 3 vulcani, El Misti, Chachani e Pichu Pichu, vulcani ancora attivi che rilasciano nell’aria le loro ceneri; questo fatto, unito al tasso di umidità molto basso (sconvolgente per noi che abitiamo in una ex palude) ci fa provare la perenne sensazione di avere la gola secca, perciò beviamo moltissima acqua.

Arequipa è la seconda città più importante del Perù ma, rispetto a Lima, sembra di essere andati un pochino indietro nel tempo: le case sono più basse, il traffico è meno caotico, le donne più anziane vestono abiti tradizionali, le madri portano i loro bimbi sulla schiena o sul petto in grandi teli colorati. Durante il giorno il sole scotta tantissimo e il cappello a falde larghe è d’obbligo, qui lo portano tutti, dai bambini agli anziani, così anche noi ci siamo adattati e ne abbiamo indossati due uguali.

Il cibo è ottimo: abbiamo assaggiato il filetto di alpaca, tenerissimo, e un peperoncino ripieno sempre con carne di alpaca, tipico del posto, insieme alle patate andine e a frutta di ogni genere.

L’influenza spagnola è visibile ovunque: le piazze, gli edifici, le strade riportano alla mente l’Andalusia; nonostante ciò la cultura andina ha resistito, e dall’incontro di questi due mondi è nato uno stile indefinibile, unico.

Ecco alcune cose che mi sono rimaste in mente:

– la Chiesa della Compagnia di Gesu con la cappella di Sant’Ignazio, soprannominata la Sistina peruviana;

– il monastero di Santa Catalina, un vero gioiello, con pareti colorate, fiori, chiostri, giardini;

– il mercato di Arequipa, brulicante di umanità e ricco di merci di ogni tipo.

Ma l’evento più emozionante della giornata è stato il mio incontro con Juanita.

Juanita è la mummia di una ragazzina Inca di 12 anni, morta circa 550 anni fa, sacrificata per placare l’ira del vulcano Ampato. La ragazzina era in una tomba scavata sulla cima del vulcano, intrappolata in un ghiacciaio. In seguito all’eruzione di un vulcano vicino il ghiacciaio si e sciolto schiudendo il suo tesoro e facendo scivolare il corpo di Juanita in un crepaccio, dove poi è stato ritrovato. Il ghiaccio e le temperature sotto lo zero hanno mantenuto il corpo praticamente intatto: il viso, la pelle, le unghie, gli organi interni, tutto è perfettamente conservato. Ci siamo guardate a lungo, lei nella sua teca climatizzata, io all’esterno. Ho osservato i suoi zigomi sporgenti, gli occhi allungati, la carnagione bruna; le labbra non sono più ben visibili ma io le ho immaginate scure e ben definite, come le hanno le ragazze che ho visto passeggiare in giro per la città. Doveva essere bellissima: gli Incas selezionavano la vittima da sacrificare in maniera accurata, la scelta ricadeva sempre su bambini/e e ragazzi/e di particolare bellezza e purezza. Era stata sistemata nella tomba in posizione fetale, avvolta da ricchi tessuti, e nella stessa posizione si trova oggi; ho provato una grande tenerezza nel vederla così, strappata dal ventre della madre terra, raggomitolata, indifesa, sotto gli occhi di migliaia di turisti che ogni giorno la osservano…Un incontro memorabile.

Oggi inizierà la parte più impegnativa del nostro viaggio perché, gradualmente, saliremo fino a 4000 m di altezza sul livello del mare e raggiungeremo zone più impervie. Se sopravviverò al mal di montagna e soprattutto se troverò il modo di connettermi vi aggiornerò.

11 giugno 2017

La sveglia è suonata e io, manco a dirlo, ero già sveglia. Siamo saliti su un pulmino per raggiungere la Valle del Colca, nel cuore delle Ande. Il pulmino ha iniziato gradualmente a salire, con un po’ di fatica. Davanti ai nostri occhi si è dispiegata una tale bellezza che le parole non riescono ad esprimerla: le gole, le valli, le cime innevate, e soprattutto i maestosi vulcani andini, alcuni dei quali superano i 5000 metri d’altezza.

La vita sull’altopiano andino si è fermata. Si incontrano ogni tanto piccoli villaggi sperduti; in questi villaggi i contadini coltivano ancora la terra negli antichi terrazzamenti Inca e allevano lama e alpaca. Puoi vedere le donne con le loro grandi gonne colorate che lavano i panni nelle pozze d’acqua e poi li mettono ad asciugare al sole, e puoi osservare i bambini che si affacciano curiosi dalle porte delle case; le merci sono trasportate sui lama e in alcune zone si utilizza ancora il baratto.

Siamo arrivati fino a 4910 m sul livello del mare. Il mal di montagna è come una sbronza: perdi un po’ il controllo di te stessa, i tuoi movimenti sono più lenti, ti senti stordita, e ti abbandoni nelle braccia di Apu, che per le antiche civiltà rappresenta lo spirito della montagna. Abbiamo offerto ad Apu il nostro ringraziamento, costruendo un piccolo altare con le pietre.

Dai 4910 siamo scesi intorno ai 3000, raggiungendo il villaggio di Chivay, che in lingua Quechua significa ‘nido d’amore’, e che si trova nella valle del Colca. Trovandosi in una zona piuttosto interna il villaggio è stato raggiunto per la prima volta 38 anni fa, potete immaginare quindi quanto sia rimasto autentico, ma chissà per quanto ancora…

Ci sarebbero ancora molte cose da dire ma la sveglia oggi è suonata prestissimo e non ho molto tempo (qui sono le 04:55). Dico solo che la meravigliosa giornata di ieri si è conclusa con l’osservazione delle stelle: un gentile signore peruviano ci ha spiegato le costellazioni Inca e con un telescopio ci ha mostrato la croce del Sud, Antares, Orione, Giove e Saturno con i suoi anelli.

C’è qualcosa di mistico in questa terra, in questo popolo, che ti riconcilia con gli uomini, con la natura, con Dio.

12 giugno 2017

Siamo partiti da Chivay (dove abbiamo passato la notte) la mattina presto, perché avevamo un appuntamento importante, con un animale che in Perù, da secoli, è considerato sacro: il condor. Abbiamo preso una strada sterrata e abbiamo proseguito all’interno della valle del Colca, tenendoci sul lato sinistro. La valle, che riserva scenari meravigliosi, si restringe sempre più fino a formare un canyon, il canyon del Colca, che è il canyon più profondo del mondo. Siamo arrivati fino a un punto che si chiama ‘la cruz del condor’. C’è realmente una croce ed è la zona dove i condor fanno i loro nidi e dove, la mattina presto, sfruttano le correnti ascensionali per sollevarsi in volo tra una parete e l’altra del canyon. A vederli si capisce subito perché sono considerati sacri: hanno un’apertura alare davvero enorme, e quando si alzano in volo rimangono sospesi nell’aria, in tutta la loro grandezza. C’è un’altra cosa che mi è piaciuta dei condor, ed è il fatto che sono monogami: il maschio e la femmina, una volta che si sono scelti, rimangono insieme tutta la vita. Questo che vi ho appena riferito è un dato scientifico, ma nella valle circolano molte credenze riguardo a questo animale, come quella secondo la quale il condor, quando pensa di aver provato tutto e di essere giunto al termine della propria vita, vola fino a 9000 metri di altezza, chiude le ali e si lascia cadere giù.

Dopo un’ora buona di osservazione e tante foto siamo ripartiti, il viaggio di ritorno è stato lunghissimo, abbiamo riattraversato il canyon e la valle, visitato altri villaggi, poi siamo risaliti fino a 4910 e siamo arrivati fino a un bivio dove, invece di tornare ad Arequipa, abbiamo girato per Puno. Puno si trova a 3900 metri di altezza, a due passi dalla Bolivia, sulle sponde del lago Titicaca, lo specchio d’acqua navigabile più alto del mondo. Il lago Titicaca ci è apparso all’improvviso, come un miraggio, dopo un viaggio davvero stancante.

Alloggiamo in un hotel bellissimo, vista lago, e non ci sembra vero dopo le sistemazioni un po’ più spartane dei giorni precedenti. Ho altre cose in mente che vorrei raccontare, ma per oggi basta così, direi che un po’ di riposo ce lo siamo meritato.

13 giugno 2017

Giornata intensa anche oggi, la giornata dell’incontro con la Cochamama, la madre acqua. Siamo usciti dall’albergo e abbiamo raggiunto a piedi un piccolo molo. Siamo saliti su una motobarca e abbiamo iniziato la nostra traversata del lago Titicaca. Il lago, a poco a poco, si è dispiegato in tutta la sua bellezza: una creatura blu, enorme e ricca di vita.

Le isole galleggianti degli indiani Uros sono state la nostra prima tappa. Gli Uros sono una popolazione preincaica antichissima, che ha vissuto sulla terraferma fino all’arrivo degli Inca. Gli Inca hanno tentato di spodestare gli Uros dalle loro terre; a quel punto gli Uros hanno deciso di creare delle isole galleggianti, realizzate con i giunchi del lago, dove poi si sono trasferiti. Attualmente sono in tutto 1500, e sopravvivono grazie ai turisti, ai quali vendono meravigliosi oggetti di artigianato. Vivono in capanne, cucinano con il fuoco e si cibano di tutto ciò che il lago offre, compresi i giunchi. In molti hanno tentato di convertirli ad altre religioni ma la loro vita dipende così tanto dalla Cochamama che nessuno ci è mai riuscito. Quando tornerò pubblicherò un po’ di foto e darò maggiori informazioni su questa popolazione, mi soffermo solo su un dettaglio che mi ha colpita: gli uomini sono di corporatura più esile mentre le donne sono ben piazzate; forse per questo (non so, è una mia ipotesi ????) tra gli Uros vige il matriarcato: ci ha accolto una capo villaggio donna e in ogni famiglia è la donna che comanda, e ha addirittura la facoltà di alzare le mani sul proprio marito ????.

La seconda tappa è stata l’isola di Takile, patrimonio culturale dell’umanità Unesco. Abbiamo dovuto fare un bel po’ di strada a piedi, in salita, per raggiungere la parte più alta dell’isola (4000 m), che è il luogo in cui i Takile pregano la Cochamama, che si stende davanti ai loro occhi, e Apu: in lontananza, dall’alto dell’isola, si vedono infatti le cime innevate boliviane. I Takile sono una popolazione molto più schiva degli Uros, che coltiva la terra dell’isola in maniera del tutto naturale e crea con la lana e con le proprie mani vere e proprie opere d’arte. Anche qui zero tecnologia e ritmi naturali, infatti l’età media è di 90 anni. Quando un uomo e una donna si scelgono e decidono di sposarsi, la donna crea per l’uomo una cintura fatta con i propri capelli, che taglia un mese prima del matrimonio. La cintura viene poi consegnata all’uomo che la completa aggiungendo una parte intrecciata a mano da lui stesso (tutti gli uomini sanno tessere, è una delle prerogative per potersi sposare). Il giorno del matrimonio la indossa e continuerà a farlo per il resto dei suoi giorni.

Domani ci aspetta un altro lungo viaggio, partiremo per la Valle Sacra degli Inca. Faccio sempre più fatica a scrivere i miei resoconti perché le sollecitazioni fisiche e le emozioni che provo mi mettono a dura prova e la sera sono stanchissima, ma non voglio abbandonare proprio ora, sul più bello, quindi…

 14 giugno 2017

Questo è il resoconto di ieri, che pubblico oggi per mancanza di connessione ????.

Il lungo viaggio che mi aspettavo è stato in realtà lunghissimo: abbiamo percorso 430 km, da Puno alla Valle Sacra degli Incas; tra la strada tortuosa e le numerose soste il viaggio è durato quasi 10 ore, infatti siamo arrivati a destinazione che era ormai notte. Il tempo è stato bello, cielo limpido e tanto sole, ed è previsto bel tempo anche nei prossimi giorni, ma non voglio illudermi: i peruviani infatti dicono che il clima sulle Ande è come l’umore delle donne, variabile.

Ecco alcune tappe del nostro viaggio:

– Il passo di La Raya, che si trova a 4335 metri sopra il livello del mare, dominato dal ghiacciaio Cimboya.

– Il villaggio di Raqchi, dove c’è un sito archeologico Inca, con i resti di un tempio dedicato a Wiracocha, creatore dell’universo. Con l’arrivo dei Domenicani e la cancellazione forzata della religione Inca quello che c’era nel tempio venne distrutto e l’edificio venne abbandonato. Oggi è stato recuperato e, anche se privo dei suoi tesori, il tempio dà informazioni preziose sulle tecniche di costruzione degli Inca e sulla loro religione.

– Il villaggio natale di Tupac Amaru II. Tupac Amaru II fu un nobile di origini Inca che nel 1780 decise di scrivere alla corona spagnola per denunciare i continui soprusi degli spagnoli nei confronti delle popolazioni indigene. La sua lettera fu ignorata e allora decise di guidare una ribellione contro gli spagnoli. La ribellione venne soffocata nel sangue, gli spagnoli uccisero i familiari di Tupac Amaru II davanti ai suoi occhi e poi lo squartarono nella Plaza de Armas di Cusco, facendolo tirare da quattro cavalli. I suoi resti vennero inviati nei vari villaggi come monito. Tupac Amaru II divenne una figura leggendaria, il simbolo dell’orgoglio indigeno e della lotta per l’indipendenza dagli spagnoli.

Siamo arrivati a Pisaq, il punto di accesso alla Valle Sacra degli Inca, quando il sole era ormai tramontato. La valle l’abbiamo scorta nel buio, e abbiamo sentito il richiamo possente del fiume Urubamba, che la percorre fino a raggiungere la foresta amazzonica. Qua e là nel buio dei fuochi accesi, perché in questo periodo dell’anno i contadini bruciano l’erba vecchia per lasciare spazio all’erba nuova. Sopra di noi il cielo stellato.

16 giugno 2017

 La valle Sacra degli Incas è un luogo magico.

Si trova nella regione di Cusco e, prima dell’arrivo dei Conquistadores, era il cuore dell’antico impero Inca.

Il fiume sacro Urubamba, generato e alimentato dal ghiacciaio Cochimboya, la attraversa, fino a confluire nel Rio delle Amazzoni, rendendo le terre fertili con le sue acque. La valle è circondata dalle montagne e dai ghiacciai, che si scorgono qua e là tra un pendio e l’altro.

Pachamama è stata particolarmente benevola con questa valle: vi è una natura rigogliosa e si coltivano prodotti di ogni tipo. Gli abitanti di questa valle lavorano la terra; lo fanno utilizzando strumenti antichi (come la falce o l’aratro di legno tirato dai buoi) e aiutandosi con fertilizzanti naturali (come gli escrementi del porcellino d’India, molto allevato in queste zone). Il legame con gli Incas in questa valle è fortissimo, e molte abitudini e tradizioni proprie di questo antico popolo permangono ancora oggi, come per esempio il lavoro comune della terra (le famiglie si aiutano tra loro, seguendo il motto ‘oggi per me, domani per te’), l’abitudine, per le donne, di portare i capelli lunghi raccolti in grandi trecce che scendono sulla schiena (che nella società Inca erano segno di nobiltà), e i riti di ringraziamento alla Pachamama.

Siamo rimasti due giorni nella Valle Sacra, ci sarebbero moltissime cose da dire ma il tempo a mia disposizione è poco, mi soffermo solo su due delle innumerevoli tappe che abbiamo affrontato:

– la salina di Maras: una salina su un altopiano a tanti chilometri dal mare, sembra incredibile ma è così, dal ventre della Pachamama ormai da millenni sgorgano sorgenti di acqua salata, che permettono di produrre un tipo di sale di qualità pregiatissima. Il lavoro nelle saline si porta avanti senza nessun tipo di tecnologia, con gli stessi strumenti che utilizzavano gli Incas oltre 500 anni fa.

– Il villaggio di Ollantaytambo e la fortezza: un luogo splendido, gli abitanti del villaggio vivono in case di epoca incaica, le strade, i canali di scolo, tutto è rimasto intatto, e tutto è dominato da una fortezza Inca che dall’alto della montagna domina la valle. Emozionante.

Nel tardo pomeriggio abbiamo preso il trenino che conduce ad Aguas Caliente, unico punto di accesso per la salita a Machu Picchu.

Il trenino dalla valle Sacra si inoltra nella foresta, seguendo il corso del fiume. Cammina lento, per farti riempire gli occhi delle immagini che si susseguono come fotogrammi fuori dal finestrino. ll paesaggio cambia: niente più uomini né villaggi né campi coltivati, solo natura. Il fiume da placido si fa più selvaggio, la vegetazione più rigogliosa, la natura esplode in mille gradazioni di verde, le montagne ti fanno sentire protetta, come in una culla.

Siamo arrivati all’albergo in serata. Sono le 23:00, domani sveglia alle 4:00 perché si va a Machu Picchu, il cuore del Perù e di questo nostro bellissimo viaggio. Siamo felici.

19 giugno 2017

Sono sempre stata appassionata di archeologia. Da bambina leggevo le storie di Indiana Pipps e sognavo, da grande, di girare il mondo alla ricerca di tesori nascosti o antiche città dimenticate, di svelare misteri irrisolti. Un giorno, conoscendo questa mia passione, mi regalarono una collana di libri dal titolo ‘antiche civiltà del passato’; uno di questi libri, che conservo ancora, era dedicato alla civiltà Inca. Lì conobbi per la prima volta Machu Picchu; lessi la sua storia con avidità, mi piacque moltissimo e mi ripromisi che prima o poi l’avrei raggiunta davvero. Oggi sono riuscita a realizzare questo sogno.

La prima cosa bella di Machu Picchu è la strada che devi percorrere per raggiungerla. Machu Picchu è stata costruita in un luogo impenetrabile, si trova nella foresta pluviale che è chiamata ‘il sopracciglio dell’Amazzonia’, poiché ne costituisce la porta di ingresso. Questa foresta è incredibile: più di 1000 tipi di mammiferi, farfalle, ragni serpenti, migliaia di tipi di fiori, una natura selvaggia che si esprime in tutta la sua bellezza. Gli ingressi a Machu Picchu sono rigorosamente controllati, per accedervi bisogna prenotare. Prima si prende il trenino fino ad Aguas Calientes e poi si può continuare in due modi: a piedi o con il pullman che si inerpica sull’unica strada che permette l’accesso, una strada sterrata tutta curve strappata con fatica alla foresta.

Abbiamo preso il pullman e abbiamo iniziato la salita che era mattina presto. La foresta era immersa in una nebbia fitta, che creava un’atmosfera irreale. Abbiamo dovuto salire un po’ prima di scorgere, in alto, le prime rovine dell’antica città. Le abbiamo osservate in silenzio, ognuno a fare i conti con i propri pensieri e le proprie emozioni.

Machu Picchu è circondata dalle montagne. In basso scorre il fiume Urubamba, tutto intorno la foresta pluviale. È stata costruita sfruttando l’inclinazione naturale della montagna, quasi come fosse una sua continuazione, perché gli Incas, come abbiamo visto anche in altri siti archeologici, non si sarebbero mai sognati di mancare di rispetto alla Pachamama modificandone l’aspetto.

Una volta scesi dal pullman, insieme alla nostra guida Bibiana, siamo entrati nel sito archeologico e abbiamo raggiunto subito la parte più alta dove, quando il tempo è bello, si può ammirare tutta l’antica città. Inizialmente siamo rimasti un po’ delusi perché la nebbia ricopriva quasi del tutto le rovine, ma Bibiana ci ha invitato a non perdere la speranza. Ci siamo seduti sull’erba umida del mattino, in attesa. La Pachamama è donna e, come con tutte le donne, anche con lei bisogna essere pazienti e bisogna saper aspettare. La nebbia si è alzata, piano piano, lentamente, la Pachamama ha ascoltato le nostre preghiere e la nebbia ha lasciato il posto al sole ancora timido del mattino.

Siamo rimasti ancora così, seduti sull’erba, e Bibiana, preparatissima, ci ha raccontato la storia di Machu Picchu. È una storia piena di mistero, fatta di tante ipotesi e pochissime certezze.

Che cos’era Machu Picchu? Probabilmente una città sacra, e questa ipotesi è avvalorata dal fatto che la città si trova in un luogo importante dal punto di vista astro-religioso: è circondata da montagne sacre e in basso scorre l’Urubamba che, come ormai sappiamo, è un fiume sacro. Inoltre all’interno ci sono diversi templi e osservatori astronomici, ma anche tutto quello che serve a una città per essere abitata.

Probabilmente Machu Picchu non fu mai trovata dai Conquistadores, possiamo affermare questo per due ragioni:

– nessuna cronaca del tempo ne parla;

– i templi e gli osservatori astronomici sono ancora intatti (di solito i Conquistadores quando arrivavano nelle città degli Incas distruggevano tutto ciò che era legato alla loro religione, senza pietà. L’evangelizzazione fu la scusa con la quale giustificarono misfatti terribili).

Machu Picchu, all’improvviso fu abbandonata. Ci sono costruzioni non finite, addirittura sono stati ritrovati oggetti di artigianato non completati, lasciati a metà. Perché questa fuga improvvisa della popolazione? Bisogna sapere che gli Incas avevano un sistema di strade formidabile, ramificato in tutto l’impero. Queste strade erano percorse da messaggeri, che portavano le notizie in ogni città, in ogni angolo sperduto dell’impero. Secondo l’ipotesi più accreditata iniziarono ad arrivare a Machu Picchu messaggeri che portavano notizie terribili, di uomini (i Conquistadores) venuti da lontano a portare distruzione e morte. Gli abitanti di Machu Picchu decisero allora di lasciare per sempre la città e di rifugiarsi all’interno della foresta.

Dalla parte più alta siamo scesi nella zona più bassa, all’interno delle rovine, e abbiamo esplorato tutta la città.

Forse mi sono dilungata un po’ troppo, quindi spiegherò il resto con l’aiuto delle foto, che pubblicherò prossimamente (ho fatto più di mille foto). Concludo dicendo che a Machu Picchu, ve l’assicuro, anche la persona più indifferente rimane senza parole di fronte alla grandezza della natura e a quanto di straordinario le mani dell’uomo possono creare. Questi due elementi, naturale e umano, trovano in questo luogo una perfetta armonia. Vi è inoltre un qualcosa di mistico, di sovrannaturale nell’aria. Quando sei a Machu Picchu non puoi non credere che ci sia qualcosa di più nell’universo: Dio, la Pachamama, Allah, gli spiriti, come vi pare, comunque una forza che muove il cosmo, e con il quale bisogna riprendere contatto.

Abbiamo lasciato Machu Picchu, abbiamo percorso di nuovo la valle Sacra, che ci ha salutato regalandoci un ultimo meraviglioso tramonto. Il giorno seguente abbiamo visitato Cusco, altra città che merita moltissimo.

Ora siamo su un aereo per il Messico e qui finisce il mio diario di viaggio, perché la mia occupazione nei prossimi giorni sarà oziare sulla spiaggia e fare bagni al mare con la maschera alla ricerca dei pesci.

Per me il Perù è un paese incredibile. Ringrazio mio marito, che ha accettato di scegliere il Perù come meta e che è stato il miglior compagno di viaggio che io potessi desiderare. Ringrazio le guide peruviane, che ci hanno insegnato moltissimo, molte delle informazioni che vi ho dato le devo a loro. Ringrazio gli altri compagni di viaggio, con i quali si è creata una bella intesa. Ringrazio soprattutto tutti i familiari e gli amici che ci hanno permesso di fare questo viaggio, il nostro primo viaggio intercontinentale, grazie di cuore! Senza di voi al massimo saremmo andati al mare alla Bufalara che, per carità, bellissima, ma questo viaggio è un’altra cosa. Ci vediamo al nostro ritorno…

¡Hasta luego!

 

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